QUARTETTO PAVEL HAAS

Lunedì 20 febbraio 2012 Teatro Manzoni – ore 20.30

QUARTETTO PAVEL HAAS
Veronika Jarůšková Eva Karová Pavel Nikl Peter Jarůšek
Pëtr Il’ič Čajkovskij Claude Debussy Bedřich Smetana

Il nuovo e l’antico
di Sara Bacchini

Primo Quartetto in re maggiore op. 11 Quartetto in sol minore op. 10 Primo Quartetto in mi minore – Dalla mia vita

Il quartetto per archi, affermatosi come genere autonomo soltanto nella seconda metà del XVIII secolo, ad opera di Haydn, Mozart e Beethoven, è il genere musicale strumentale maggiormente rappresentativo dei grandi classici e della scuola austro-tedesca. E’ facile intuire come dovesse risultare problematico scrivere un quartetto per i compositori delle nuove Scuole Nazionali – russi, francesi, moldavi, ungheresi, ad esempio – tutti rappresentanti di una nazione musicalmente giovane, che stava cercando un proprio posto e una propria fisionomia e per far questo doveva svincolarsi dalla predominante cultura austro-tedesca.

In Russia, Pëtr Il’i ajkovskij era, a differenza di altri compositori suoi contemporanei, un cosmopolita aperto agli influssi della grande tradizione musicale europea, i cui alti esiti avrebbero potuto arricchire la stessa musica russa, cosicché sarebbe stato insensato rifiutarli. Altri, in opposizione, ritenevano invece che i musicisti russi dovessero respingere ogni inquinamento proveniente dall’Occidente e attingere esclusivamente alle tradizioni nazionali, per poter esprimere lo spirito autentico del popolo russo.

ajkovskij, che nonostante le tendenze occidentalizzanti e l’ammirazione per i classici non riusciva a farsi piacere completamente la sonorità del quartetto per archi, non condivideva il severo spirito architettonico di questo genere musicale e cercò di trasformarlo in una specie di diario dell’anima, travasandovi melodie e ritmi tradizionali della propria terra. Lo si vede fin da un’opera giovanile, qual è il Movimento di quartetto in si bemolle maggiore, scritto nel 1865 per essere eseguito in un concerto degli allievi del Conservatorio di San Pietroburgo.

Il Quartetto per archi n. 1 in re maggiore op. 11, composto nel 1871, fu uno dei primi successi di ajkovskij. Opera ricca di emotività, nel cui pathos controllato si sente la voce dell’anima segreta d’un artista raffinato e sensibile, essa si esprime in una lingua familiare, romanticamente tenera, che richiama leggerezze mendelssohniane, tra intime flessioni malinconiche ed echi di vita popolare dati dal ricorso a motivi caratteristici.

Il romantico primo movimento (Moderato e semplice – Allegro giusto) sembrerebbe guardare a Schubert ma i temi che lo contraddistinguono hanno un sapore e una tenerezza tipicamente slava. Nell’Andante cantabile una melodia popolare, sentita dal compositore nella tenuta del cognato in Ucraina, si alterna con un altro tema dal carattere più mondano ma egualmente molto espressivo: ascoltando questo movimento Tolstoj – come molti altri – non riuscì a trattenere le lacrime. Il terzo movimento, Scherzo – Allegro non tanto, è una robusta danza contadina russa la cui allegria popolare prosegue nel Finale, in cui s’alternano un esuberante tema di danza e un secondo tema cantabile e profondamente espressivo.

Anche in Francia, la storia del Quartetto d’archi è breve e alquanto discontinua: non risulta infatti nessun capolavoro prima degli ultimi anni dell’Ottocento e pochi, ma significativi, lavori a partire dal 1889, anno in cui il Quatuor di Cèsar Franck riscosse grande e inatteso successo. A questo seguiranno poi i Quartetti di Fauré (1876, 1885), il Quartetto di d’Indy (1890), e i due lavori di Debussy e Ravel.

Claude Debussy compose il Quartetto per archi in sol minore op. 10 fra l’estate del 1892 e il febbraio del 1893, all’interno di un periodo dominato da lavori di marca simbolista (Prelude a l’après-midi d’un faune, Nocturnes). Concepito all’epoca dell’amicizia con Ernest Chausson, compositore e allievo di Franck, il Quartetto op. 10 di Debussy risente indubbiamente degli influssi franckiani, soprattutto nella forma ciclica che permea la struttura dei suoi quattro movimenti, unita qui alla forma della variazione, quasi a conciliare in una curiosa sintesi il mondo accademico di Franck e quello onirico tipico del Prelude a l’après-midi d’un faune.

I quattro movimenti sono dominati da un unico tema in continua trasformazione, sostenuto da un’armonia dai colori sempre cangianti; micro-variazioni che interessano sia l’aspetto ritmico sia quello coloristico-modale si alternano a riesposizioni del tema fondamentale, in un variegato e coloratissimo mosaico musicale.

Il Quartetto di Debussy non ottenne subito consensi; la critica rimase perplessa, a volte sconcertata, davanti alle caratteristiche innovative del suo linguaggio, e solo a partire dalla seconda esecuzione del 1894 la composizione comincia a essere veramente apprezzata e si tenta timidamente di rintracciarne le influenze predominanti: dal Primo Quartetto di Borodin alle orchestrine zigane udite da Debussy nel corso del soggiorno in Russia (1880-1882), fino alle evocazioni del gamelan giavanese passando attraverso l’unità formale di stampo mozartiano.

Il primo movimento, Animé et très decidé, è in forma-sonata e si apre con l’esposizione del tema principale proposto dai quattro strumenti con energica fermezza: il profilo tagliente e il disegno ritmico ben definito permettono all’ascoltatore di percepirlo immediatamente come cardine dell’intera composizione, facilitandone il riconoscimento nelle successive riapparizioni. Al tema principale seguono due delicate idee melodiche: la prima presentata dal violino e subito ripresa dal violoncello sopra un regolare movimento in semicrome degli altri strumenti; la seconda, più malinconica, affidata alle sonorità di violino e viola.

Lo Sviluppo si apre enfaticamente con una ripresa del tema principale, poi si anima con lo sviluppo del secondo tema: il tessuto strumentale si infittisce fino a giungere a una sua appassionata perorazione, condotta in Tempo rubato dal violino primo che sfrutta abilmente il registro acuto. Toccato il suo apice, lo Sviluppo si frantuma in numerose schegge motiviche, fra le quali riconosciamo l’incipit del tema iniziale.

La Ripresa non presenta praticamente alcuna analogia con l’Esposizione e alla ripresa del tema principale segue un nuovo episodio che, con in crescendo conduce infine alla coda conclusiva, Très animé. Il secondo movimento, Assez vif et bien rythmé, in forma di scherzo, si apre con un virtuosistico effetto strumentale, il pizzicato con cui i quattro strumenti eseguono le note, e l’ostinato che lo attraversa sembra essere un ricordo della fortissima impressione che esercitò su Debussy l’orchestra giavanese all’esposizione Universale di Parigi del 1889.

L’Andantino, doucement expressif, sempre in forma tripartita, presenta nelle due sezioni estreme una sonorità rarefatta e impalpabile, che crea forte contrasto con l’episodio centrale più mosso (Un peu plus vite): nella prima parte i quattro archi usano la sordina, creando un’atmosfera sonora dolce e delicata; mentre la sezione centrale, aperta dal recitativo della viola, ripropone una variazione del tema principale, seguita da un progressivo animando delle quattro voci che toccano un apice dinamico (forte, très expressif) per poi ricadere nel suono ovattato della sordina.

La ripresa abbreviata conduce all’ultimo movimento (Très moderé – Très mouvementé et avec passion), che prende l’avvio da una introduzione lenta ed elabora il tema principale in arabeschi melodici dalle sonorità misteriose. Nel successivo episodio, En animant peu a peu, le quattro voci strumentali entrano in successione quasi a canone, creando un’incalzante progressione ascendente che si dissolve nel pianissimo. A seguito di cromatismi, variazioni tematiche ed apici dinamici che diminuiscono progressivamente fino a raggiungere il pianissimo sul quale si innestano nuove melodie, il ritorno trionfale del tema principale dell’intero Quartetto confluisce, in virtù di una sapiente trama contrappuntistica, nel finale Très vif, basato ancora sul primo tema.

A differenza della scuola russa e francese, la musica di ceppo boemo si diffuse in Europa nel Settecento e si intrecciò strettamente alla tradizione austro-tedesca. Con i moti del 1848 e con le relative concessioni politiche alle etnie che formavano l’Impero, la musica boema assunse una propria individualità, e il primo musicista in cui la Boemia si riconobbe fu Smetana, anche se l’identità nazionale non fu una scoperta autonoma ma avvenne già in anni precedenti per merito di Franz Liszt.

La produzione strumentale cameristica di Smetana, nonostante sia quantitativamente limitata, offre al suo interno esempi di rara intensità, come il Primo Quartetto per archi (1876), che non a caso è divenuto molto popolare. Del resto Smetana scelse coscientemente di seguire una via personalissima, che non contemplasse imitazioni o consumo acritico di materiali popolari, per ripensare invece con spontaneità e freschezza il romanticismo tedesco.

Ed è proprio l’aspetto sentimentale che nel Primo Quartetto acquista proporzioni perfette a rappresentare la sua qualità più convincente. Nel primo dei due quartetti di Smetana, cui il compositore volle dare il sottotitolo «Dalla mia vita», si contemperano due esigenze: quella di conservare l’architettura cameristica di provenienza tedesca e quella di osservare l’estetica progressista, teorizzata da Liszt, di conferire un «contenuto», un «programma», alla musica.

La connessione ha dato un risultato molto suggestivo grazie all’equilibrio fra la struttura formale e il melos boemo: la «vita», per Smetana, si rispecchia in una serie di rimembranze musicali rese ancor più struggenti dal fatto che il musicista era ormai completamente sordo, quando compose il Quartetto, nel 1876.

Una lettera di Smetana all’amico Debrnov costituisce il «programma» del quartetto: «A proposito del quartetto, ne lascio giudicare lo stile ad altri e non mi irrito se non piace o se viene considerato contrario allo ‘stile quartettistico’ […]. La forma di ogni composizione, per quanto mi riguarda, è dettata dal suo soggetto […]. Mia intenzione era di descrivere con la musica la mia vita. Il primo movimento descrive il giovanile accostarmi all’arte, lo spirito del romanticismo, l’inesprimibile tenerezza suscitata in me da qualcosa che non posso esprimere né definire, e un presagio della sventura. La lunga ed insistente nota nel finale la rievoca. Essa simboleggia il fatale echeggiare, nei miei orecchi, delle note acute che, nel 1874, annunciarono l’inizio della mia sordità. Il secondo movimento, quasi-polka, riporta alla mia mente i giorni felici della gioventù, quando componevo musiche di danza ed ero conosciuto dappertutto come un appassionato ballerino. Il terzo movimento (quello che, secondo i signori esecutori, sarebbe ineseguibile) mi ricorda la felicità del primo amore, la ragazza che in seguito diventò la mia prima moglie. Il quarto movimento descrive la scoperta di poter inserire elementi nazionali nella musica, la mia gioia di poter seguire questa via fino a quando non venni colpito dalla catastrofe della sordità, la prospettiva di un terribile futuro, le esili speranze di riprendermi, infine, un sentimento di penoso rammarico, ricordando tutte le promesse iniziali della mia carriera».

Il Quartetto, come afferma lo stesso Smetana, parve di difficile esecuzione: le difficoltà, come sempre in tali casi, derivavano più da un rifiuto degli esecutori che da effettive difficoltà tecniche. Una prima esecuzione privata si ebbe nel 1878, in casa di Srb-Debrnov, e il giovane Dvorak suonava la parte della viola; in pubblico, il Quartetto venne eseguito il 29 marzo 1879. Nel 1880, giunse una lettera firmata dai componenti del Weimar Quartett: per loro tramite, Liszt faceva i complimenti all’autore.